venerdì 18 ottobre 2019

Come è nato Kombatnet, il social network per fighters


Tempo fa, circa all'inizio dell'estate 2018, ero a cena con la mia ragazza (Paola Coacci, ovviamente psicoterapeuta) ed un paio di amici (il fighter Pietro Mazzoli e sua moglie Sarah Branchesi, nutrizionista) in una pizzeria di Senigallia ed ho esordito con una frase:

"Ho avuto una  una idea per un sito e voglio registrare un dominio".

Ovviamente la prima reazione è stata entusiastica da parte di tutti:

- "Una margherita crudo e bufala"
- "Gamberi e zucchine senza mozzarella"
- "... e due patate, grazie".

La tensione era palpabile.

Felice dell'approvazione dei miei amici ("Registrato ok, ma te non avevi detto che non suonavi più?") e del supporto della mia ragazza ("Sì, sì, va bene, però dopo metti a posto.") mi sono fiondato in questo progetto, sicuro di avere in mano le chiavi del successo.



La mia idea era semplice: mi ero stufato della pubblicità fastidiosa e non interessante, dei commenti fuori luogo dei non addetti ai lavori, del fatto di non avere un mio "posto virtuale" dove poter condividere la mia passione per le discipline da combattimento e le arti marziali con gente che capisse cosa stessi dicendo perché parlava la mia stessa lingua.

Mi sono ricordato di quando, da piccolo, acquistavo le riviste specializzate di chitarra e rimanevo ore a guardare le inserzioni, sognando di potermi permettere una Carvin o una Mantra (il futuro è stato clemente con me: non ho mai potuto permettermi una Carvin ma ho smesso di suonare. Problem solved).


Quel giorno invece, scorrendo il libro della vita dei miei contatti con il pollice, ogni 3x2 ottenevo un suggerimento su come acquistare trucchi e rossetti, proposte di abbonamenti a Sky Calcio e suggerimenti per la cucina.

Capite bene che a meno che non decida di arrotondare sulla statale, il primo annuncio non è decisamente nelle mie corde, riguardo il secondo ci potrei fare un pensiero solo se facessero Sky Low Kick, mentre con il terzo mi sento profondamente offeso.

La mia rete neurale quindi decise per me: avrei creato un luogo virtuale dove convogliare tutte le persone con gli stessi interessi, far incontrare atleti con promoter, negozi di articoli sportivi con palestre, enti e federazioni con giornalisti sportivi. 

Niente più rossetti.

Solo tatami.

A quel punto mi mancava solo una cosa: il nome di dominio.

Luogodiincontrovirtualepermarzialistimaancheperchipraticadisciplinedacombattimentoedovviamentenegozipalestrepromoterentiefederazionigiornalistipalestrelhogiadetto.it 

mi sembrava francamente troppo lungo da ricordare, quantunque per la SEO fosse sicuramente appetibile.

Dopo una lunga dissertazione filosofica tra me e me guardando fisso il muro mentre attorno a me il tempo scorreva lento ed i suoni ovattati ("Amore, ma te non le mangi le patatine?") mi sono deciso:


sarebbe stato il nome del mio nuovo progetto. Punto com.

Sì! Avrei creato un nuovo modo di concepire i social network!

Mi fiondai a registrare il dominio via cellulare, incurante del mondo che mi circondava, preso dal momento come una fiera sulla sua preda, fiero come Galadriel quando si lava la faccia la mattina:

"E TUTTI I FIGHTER SI ISCRIVERANNO, DISPERANDOSI!"





... era fatta.

... quasi.

Ora veniva la parte pratica: avrei SOLO dovuto scrivere il software.

"Eccheccevò", mi dissi, "basta scrivere due righe di codice, strutturare bene il database, mettere su un frontend accattivante ed è fatta". 



Un anno e mezzo più tardi ero in preda alla disperazione più totale. 

Avevo testato tanti di quei tool open source da poter diventare un influencer dei software per la creazione dei social network: aspettatevi che a fianco dei cartelloni con le gambe chilometriche della Ferragni compaia io sdraiato in lingerie su una scrivania vicino ad un pc a turbare i vostri sonni.

Nessuno di essi soddisfava le mie esigenze: Elgg, OSSN, BuddyPress, HumHub... posso andare avanti per una vita. Ognuno aveva qualche difetto: troppo complicato, troppo semplice, qualche funzionalità mancante... una soluzione self-hosted che funzionasse pareva non esistesse. 



Al che ho cominciato a scriverla io con le mie manine sante utilizzando Ionic come frontend per l'app mobile (che già conoscevo per la RLS App, Foundation per il frontend desktop ed OctoberCMS/Laravel per il backend).

Era fatta! Avevo trovato il metodo giusto per portare a termine il progetto.

Avevo solamente bisogno di tre anni e mezzo di sviluppo, 16 ore al giorno, e Kombatnet avrebbe finalmente visto la luce!



... capii in breve che era una soluzione improbabile. Dovevo sbrigarmi prima.

Come tutti gli eroi in crisi allora mi rivolsi al Grande Saggio della Montagna: lui mi avrebbe fornito la luce per illuminare la mia via oscura. 

Sapevo da chi andare: le sue massime ("Non sono tutte rose quelle che luccicano") echeggiavano nell'aere da anni, fornendo una guida spirituale alle anime perdute come me.

Mattia Tarini, mio amico di adolescenza, mio insegnante di Muay Thai/K1 e titolare della palestra Activa Kombat di Pesaro, era la figura che cercavo.



Le sue prime parole quando gli esposi il progetto furono chiare ed illuminanti:

"Una barricata, grazie". 

Sapevo avrebbe capito. 

Cominciammo immediatamente a ragionare insieme sul progetto e mi resi subito conto che doveva essere parte in causa nel suo sviluppo: nessuno infatti meglio di lui conosceva l'ambiente del fighting ed era in grado di coinvolgere atleti e palestre. Nondimeno, mi pestava a sangue ogni sera, motivandomi regolarmente. 

Gli proposi varie soluzioni ma la via era tracciata: avremmo dovuto creare qualcosa di semplice da utilizzare, accattivante e che i fighter fossero in grado di utilizzare senza problemi.



Pensammo inizialmente ad un sasso ed una tavoletta, ma a causa delle difficoltà nell'implementazione della chat optammo in breve per soluzioni più raffinate.

Mi imbattei, più casualmente che altro, in PeepSo, un plugin per Wordpress per la creazione di social network. Nell'ambiente degli sviluppatori Wordpress sta a Laravel come la fit-boxe sta alla Muay Thai, ma avevo il vantaggio di conoscerlo benissimo. Avrei potuto estenderlo con facilità scrivendo relativamente poche righe di codice. 




Decidemmo di optare quindi per PeepSo e non posso fare altro che benedire quel momento perché è veramente un software splendido, solido ed allo stato dell'arte. Le relativamente poche righe di codice erano veramente molto relative, ma il progetto stava finalmente prendendo forma.

Dopo un breve periodo di test locale, eravamo pronti per lanciare Kombatnet: il giorno 7 settembre 2019 il primo social network per fighters, marzialisti ed affini vedeva la luce ed apriva le sue porte a tutti gli atleti e figure correlate. 



Ad un mese dalla nascita già si riempiva di atleti professionisti, campioni del mondo, palestre, vlogger di spicco, nutrizionisti e psicologi dello sport ed ovviamente tantissimi amatori.

Dove ci porterà questo nostro incontro lo ignoro, ma la campanella è appena suonata e la prima ripresa è già uno spettacolo, voglio il massimo da ogni round.



... una barricata anche per me, grazie :)

lunedì 31 agosto 2015

Un altro passo avanti ed uno in su



Inerpicarsi su per il fianco della montagna diretto verso la vetta, con la mente leggera, il viso illuminato dal sole sopra le nuvole, la meta sempre più vicina.

La visuale è chiara, il rumore sempre più lontano, i miasmi ammorbanti cedono il posto all'odore di terra, roccia, resina, legno, neve.

Sei solo: e ti basti.

Raggiungi un bosco, sei ospite gradito.

Gli alberi ti riparano dal vento e dalla troppa luce.
Potresti fermarti per sempre qui e saresti finalmente arrivato.

Ma vuoi la cima della montagna, quindi ti lasci alle spalle anche il bosco e ti inoltri nella radura all'aperto, lo sguardo rivolto verso il punto in cui la terra tocca il cielo.

Sei felice. Sei a 6,5 k* dalla cima.

Una enormità in effetti, ma puoi farcela. Hai energie fisiche e mentali, volontà, tempo, possibilità.

Ed eccolo, come era prevedibile.

Da un lato della montagna spuntano le nuvole minacciose di un temporale. Un temporale tremendo, nero ed oro.

Il tempo di accorgersene ed i fulmini cominciano a saettare di fianco a te, incendiano alberi, fanno volare rocce.

Il frastuono ti rende sordo, il lampo ti rende cieco.

Nel disperato tentativo di continuare verso la tua meta cerchi un riparo, ma tutti gli alberi sono lontani, nessun bosco come rifugio.

Forse l'unica soluzione è tentare di salire ancora affrontando il vento e la tempesta, ma sei stremato dalla corsa ed anche, per la prima volta, dalla paura. 

Così non ti curi di come corri, pensi solo a correre.

Ma paghi le conseguenze della tua foga e della tua disattenzione.

Basta un niente per mettere un piede in fallo e lo capisci solo quando è troppo tardi, quando già stai cadendo e rotolando giù, perdendo tutto quello SPAZIO PREZIOSO che avevi guadagnato con tanta fatica.

Scivoli, scivoli, frani tu, tutto frana intorno a te ed improvvisamente hai paura di perdere tutta la strada fatta, tutto in così poco tempo. 

Arrivi rotolando tra rocce, fango, detriti in mezzo al bosco. Sei convinto di essere al riparo e di averla scampata, ma cominciano grandine e pioggia incessanti.

Ti sembra che il cielo ti abbia scatenato contro tutta la sua furia.

Le gambe non ti reggono più, la mente vacilla, il dolore è infinito e non puoi proteggerti in alcun modo.

Non sai come fare a ripararti (non puoi), anche se l'essere bagnato, infreddolito e malconcio sono problemi minori: la rabbia enorme è l'aver perso tutta quella strada fatta.

Hai lasciato per strada un sacco di persone che ti ancoravano e non ti permettevano di salire e non puoi nemmeno parlarne con loro, confrontarti, sfogarti: poco male, non sarebbero state d'aiuto. Hanno fatto tanto per te, hanno fatto tanto per togliertelo. Altre, semplicemente sono state irrilevanti.

In ogni caso, sarebbe stato un monologo e le persone non sono fatte per questo.


Per salire bisogna essere leggeri. E concentrati. 

E di ali ne bastano due. Di più, sono troppe.

Ti siedi e cerchi di ragionare sul da farsi.
Ma la tempesta non passa.

Attendi ancora.
Non passa.

Attendi un tempo infinito.
Ma la tempesta sembra essere l'unica situazione possibile.

Non va più via.
Allora urli, ti arrabbi, ti disperi, ma la tempesta è ancora lì: non passa.

E allora, infine, ti rassegni: non c'è modo di salire sulla vetta, non ci si può più arrivare

Non così.

Non ce l'hai fatta.

Hai perso.

Cominci a pensare di scendere, o di lasciarti cadere.

TI LASCI ANDARE.

... poi capisci che qualcosa ti ha trattenuto in mezzo al bosco: e scopri un turbinio di esseri, di piante, di animali che non avevi mai visto prima d'ora. 

Si tratta di un cambio di prospettiva: spesso quando si sale, in montagna, si tiene la testa bassa sul sentiero e non si riesce a vedere quanto di bello ci sta intorno.

Scopri che sei vivo per miracolo: un intreccio di piante e rami ha arrestato la tua caduta ed eri a pochi metri da un baratro.

Ancora poco e saresti scivolato a valle: un niente e saresti morto

Il fiato si interrompe, non respiri più: tutto si blocca, anche la tempesta.

Poi, succede.

Non è neanche un brivido quello che ti passa per la testa: è piuttosto una scossa. Una cosa pari al lampo che illumina la vetta.

Ricominci a respirare e l'aria ha un sapore diverso.

Improvvisamente la grandine sul viso non fa poi più tanto male.

Anche la pioggia ti rinfresca: la gamba può ancora camminare, il fiato ridisegna una nuvola davanti alla tua bocca, il cuore riprende a battere come dovrebbe.

I lampi non ti spaventano più, anzi: illuminano la strada.

La mente si riporta sull'obiettivo: ora vedi il sentiero chiaramente.

Esci dal bosco, ti inoltri nuovamente per la radura, con occhi diversi.

Fai un altro passo avanti ed uno in su.




Post più popolari